Apr 102014
 

Geografia e geopolitca dell’equilibrio

Il passato è un paese straniero
David Lowenthal

In un noto aforisma impropriamente attribuito a Mark Twain, qualcuno confida che “l’inverno più freddo che ricordi è stato un’estate a San Francisco“. E come quell’estate che è tale solo nel nome, anche l’Afghanistan, con le elezioni che devono ancora stabilire il nome del presidente che succederà a Hamid Karzai, rischia di raffreddare più di una buona intenzione e più di una speranza.

Per capire l’intricata tela del ragno afghano dalla quale è sempre stato difficile e doloroso uscire, basta osservare la geografia regionale di quella parte di mondo che, tra stati cuscinetto e stati confinanti, ha messo in crisi più di una strategia e più di un disegno politico. Anche quelli tipicamente proxies.

Le carte in figura 1 e 2  mettono in luce la particolarità del territorio afghano. Incastonato più o meno esattamente nella zona centro-asiatica, l’Afghanistan è quel magma incandescente in grado di destabilizzare l’intera regione. È privo di sbocchi al mare, caratteristica che lo priva di un’economia mercantile che è costretto a delegare a Teheran o Islamabad; a nord condivide le linee di confine con le ex repubbliche sovietiche del Turkmenistan, l’Uzbekistan e il Tajikstan, con la prima ancora fortemente, strategicamente ed economicamente importante per quella Russia che sta riscoprendo –o sta tentando di riconquistare– lo status di potenza globale perso alla fine degli anni ’80 e dissipato nel torpore dei ’90.

A est, una sottile lingua afghana, il corridoio del Vacan, apre un varco tra Tajikstan e Pakistan e va toccare il fianco della tigre cinese. Il corridoio del Vacan, sottile come un Pesh-kabz va infatti a solleticare lo Xinjiang (vedi figura 3), la regione cinese che, con i suoi venti milioni di musulmani, rappresenta un potenziale fattore destabilizzante per la oramai matura economia cinese che dopo aver aver conquistato i mercati esteri punta con forza anche al mercato interno.

La linea di confine sud sud-est è interamente occupata dal Pakistan che, con l’uscita di scena delle forze Isaf e di quelle statunitensi dal teatro afghano, dovrà capire come gestire quel vuoto senza compromettere la propria sicurezza. Una sicurezza costantemente messa in gioco anche dall’impopolarità che il presidente afghano Hamid Karzai gode tra le etnie talebane e tra quelle non pashtun pakistane.

Ma i problemi del Pakistan non si esauriscono con il solo Afghanistan. Con gli Stati Uniti deve ancora stabilire come e secondo quali parametri e criteri ridisegnare i confini di una sovranità messa in crisi da operazioni unilaterali americane che, con il pretesto dell’inaffidabilità dell’ISI, fanno uso di droni e impiegano corpi speciali per condurre azioni sul territorio pakistano.

Con l’India, contro la quale continua a combattere una guerra fredda regionale dal 1971, il Pakistan deve contrastare gli interessi indiani in Afghanistan e passare dallo status di potenza nucleare primitiva a quello di potenza nucleare moderna.

Il confine ovest dell’Afghanistan poggia interamente sull’Iran, paese con il quale ha condiviso il Grande Khorasan fino quasi alla fine del 1700.

I rapporti tra Iran e Afghanistan, nonostante la complessità di una storia spesso comune, erano già in crisi nel 1973 per la disputa dei diritti sull’acqua del fiume Helmand, si sono incrinati con l’occupazione sovietica in Afghanistan del 1979, anno in cui Teheran viveva la propria Rivoluzione guidata dall’Ayatollah Khomeini, e hanno conosciuto uno dei tanti picchi negativi con la discriminazione, la persecuzione, la tortura e l’uccisione di molti rifugiati afghani che proprio in Iran cercavano scampo.

L’attuale presenza di truppe e presidi americani schierati vicino al confine iraniano, non ha poi aiutato le già difficili relazioni tra i due paesi.

Ma le visioni e le strategie di quegli stati centro-asiatici si riflettono anche in quel particolare Dna geografico ed energetico che, intrecciandole, rende tutti quei paesi contemporaneamente partner e antagonisti di un complesso gioco in cui l’equilibrio non riesce a mediare carenza e abbondanza.

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